Dopo la breve vergognosa parentesi dell’episcopato di Romano, ritorna sulla cattedra bagnorese la fedeltà e la devozione al Sommo Pontefice, abbellite dagli splendori della santità.
È da ritenere che verso gli ultimi giorni del settembre 855, terminato lo scisma e rimosso quell’indegno pastore, sia stato chiamato a succedergli Aldualdo o Adoaldo detto anche Ildebrando, Ildibrando, Aldovrando, Ildribando e così via.
Tali nomi sono indubbiamente d’origine longobarda, al pari di molti altri, come abbiamo già notato. Il nostro santo non è poi da confondersi con s. Ildebrando vescovo di Fossombrone, essendo quest’ultimo vissuto in luogo e tempi diversi.
Con molta probabilità è da ritenere inoltre che s. Ildebrando fosse nostro concittadino, poiché quando avvenne la sua elezione, era costume inveterato di scegliere il vescovo tra il clero della chiesa che doveva amministrare; raramente erano eletti gli estranei, salvo che non si trattasse di persone ben conosciute. A questo proposito, chi sa che il nostro s. Ildebrando non sia quel diacono preposto del monastero benedettino di Montamiata che nell’838, come già si è detto, acquistò dei fondi nel nostro territorio.
Lo zelo religioso del nostro santo, il suo attaccamento alla Sede Apostolica si manifestarono luminosamente nel triste episodio dell’arcivescovo di Ravenna Giovanni. Questo da diverso tempo sprezzava i legati papali; scomunicava a capriccio i fedeli, vietava ai suffraganei di ricorrere al romano pontefice e commetteva ogni sorta d’abusi e di prepotenze. Sebbene più volte ammonito, nonché correggersi e rientrare nella legalità, ogni giorno diveniva più malvagio e insolente, arrogandosi perfino suprema autorità sui vescovi dell’Emilia. A reprimere tanta audacia e nequizia, Nicolò I il 18 novembre 861 raccolse nella basilica Lateranense un sinodo di 70 vescovi, nel numero dei quali era il nostro Ildebrando. Rimasero tutti indignati delle malefatte dell’arcivescovo, e dal papa si ordinò che la supremazia degli arcivescovi di Ravenna sui vescovi dell’Emilia non fosse maggiore di quella che esercitavano i primati della Liguria, della Venezia e dell’Istria sui loro suffraganei. Gli atti del sinodo si chiudono con una dichiarazione di ossequio e venerazione dei vescovi alla Sede romana. Il nostro santo vescovo si sottoscrive « Aldualdus Balneoregensis ».
A furia d’intrighi che qui non è il luogo d’esporre, Fozio dottissimo ma ambizioso e malvagio, era riuscito ad occupare la sede patriarcale di Costantinopoli, facendo deporre il santo vescovo Ignazio, e aveva tenuto un conciliabolo contro il papa Nicolò I e il vescovo deposto. L’imperatore Basilio fautore di quest’ultimo mandò gli atti ad Adriano II succeduto il 14 dicembre 867 a Nicolò I († 13 nov. 867) perché fossero condannati. Papa Adriano convocò in Roma nella basilica di s. Pietro nell’868 un concilio, a cui intervennero i legati dell’imperatore Basilio e tra gli altri vescovi fu presente s. Ildebrando. Tra la generale indignazione fu condannato il conciliabolo tenuto da Fozio, e si sentenziò che gli atti fossero abbruciati alla presenza dei legati imperiali. Gettato lo scritto di Fozio sulla soglia della porta della basilica, fu calpestato dai vescovi intervenuti al concilio, poi fu dato alle fiamme sui gradini esterni. Si narra che in quel momento stesso scese dal cielo un rovescio di pioggia, che invece di spegnere il fuoco l’alimentava e rinvigoriva, come fosse olio che vi cadesse sopra. Intanto si spandeva d’intorno un odore fetido quasi di pece. Il nostro santo si sottoscrisse nel sinodo: « Adoaldus episcopus sanctae Ecclesiae Balneoregensis ».
A testimoniare lo zelo, le virtù esimie e i miracoli di s. Ildebrando ci soccorre la tradizione. A questa evidentemente si riferisce l’elogio che fa di lui il fondatore (1605) della Biblioteca Angelica di Roma, cardinale Angelo Rocca, in un suo manoscritto ivi esistente: « Il vescovo Doroteo nelle sue cronache, e Anselmo vescovo di Lucca così raccontano: Nel Patrimonio v’è la città di Bagnoregio … In essa fiorirono parecchi santi uomini fra i quali un certo Venerabile vescovo di nome Androvano adorno di virtù e illustre per santità. Fu preposto a quella chiesa reggendo con tutto il timore di Dio il popolo a lui affidato ». E certamente attinge alla tradizione il nostro Romani scrivendo: « (Di Bagnoregio) accortissima cura n’hebbe il glorioso vescovo Altibrando o Altrovando (come dice il volgo) huomo di vita così esemplare … e riguardevole e santa che vita d’Angelo visse e non d’huomo viatore ».
Si narra che vegliava assiduamente affinché regnasse la concordia fra i fedeli, e se in qualche casa vi erano dei litigi e dissensi, non tardava a comparire sulla porta e adoperarsi per ristabilire la pace e la concordia.
Tuttora in vita ebbe il dono del miracolo. Si racconta che un giorno gli furono offerte in un piatto delle tortorelle arrostite. Egli con un semplice segno di croce le fece balzar vive e volar via. Questo fatto prodigioso viene riferito da Bernardo Corrovagino nelle lettere scritte a Papebrock. È vero che lo scrittore non vi presta fede, perché non lo trova registrato negli atti del santo che, se pur furono redatti, più non esistono, però attesta che del miracolo era viva a quel tempo la fama tra i cittadini.
Della sua vita null’altro sappiamo. Si vuole che morisse nell’anno 873, il 22 di agosto. Si tramanda che il Signore volesse glorificare il santo in occasione della sua morte con miracoli strepitosi. Li riferiamo attenendoci alla relazione che ne fece presso la Congregazione dei Riti l’Avv. Caterini nella causa che promosse per ottenere l’ufficio del santo. Una donna era travagliata da fierissimi dolori di parto e non poteva dare alla luce la creatura. Implora fiduciosa l’intercessione di s. Ildebrando morto da poco tempo, e che giaceva esposto in chiesa, non ancora sepolto. Nell’invocare il suo aiuto partorisce, morto, un bambino, poco dopo muore anche la madre. Nel duplice caso luttuoso si ricorre a s. Ildebrando. Portato in chiesa il bambino e accostato al cadavere di lui, il morticino rivive; ricondotto in casa e adagiato accanto alla madre anche questa ritorna in vita.
Tra la commozione e l’esultanza di tutti Ildebrando fu proclamato santo ed eletto a patrono della città, della quale sino allora era stata protettrice s. Vittoria. Grande è stata sempre la venerazione che s. Ildebrando ha goduto e tuttora gode in Bagnoregio, venerazione fatta anche un po’di timore, in quanto il santo, come è voce comune, non tollera che gli si manchi di riguardo, e punisce severamente chi non gli rende i dovuti onori.
Sin dai tempi più antichi ogni anno il 22 agosto, ricorrenza della morte di lui, si celebravano in Bagnoregio solenni festeggiamenti. In tal giorno era portato processionalmente per le vie della città il suo corpo. Intervenivano le autorità del comune, prestavano servizio i pubblici trombettieri, si offrivano dal potestà i ceri delle contrade, si teneva una fiera che durava tre giorni, vigilata da 50 uomini armati; dai Monaldeschi della Cervara era offerto al comune ogni anno un palio di seta in segno di riconoscimento del dominio del comune stesso su quel castello; si facevano lotte e corse di uomini.
Bagnoregio possiede intero il corpo di s. Ildebrando. Il capo si conserva nella nuova chiesa cattedrale in Rota, dacché per motu proprio di Innocenzo XII fu trasferita in quella contrada la sede vescovile. Il resto rivestito di paramenti pontificali, secondo il costume del sec. IX, e racchiuso nel 1863 in una ricca urna a spese della Confraternita di s. Pietro, si venera nell’antica chiesa cattedrale sotto l’altare del Crocifisso.
Da Francesco Macchioni, “Storia di Bagnoregio dai tempi antichi al 1503”, Agnesotti Viterbo
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